Le tegole marsigliesi, nate in Francia alla fine dell’Ottocento e presto adottate sui tetti italiani, sono caratterizzate da un profilo nervato che favorisce lo scorrimento dell’acqua e da incastri laterali di precisione. Il loro impasto di argilla cotta resiste bene al gelo ma soffre la proliferazione di muschi e licheni quando l’esposizione al sole è parziale o l’umidità stagnante non evapora abbastanza in fretta. Pulirle periodicamente non è un vezzo estetico: i vegetali assorbono acqua come spugne, aumentano il peso statico del manto, trattengono lo sporco che ostruisce i canali di deflusso e, con la radicazione, spaccano in micro-fratture lo strato superficiale. Una manutenzione corretta, quindi, scongiura infiltrazioni e prolunga di molti anni la vita del tetto.
Sicurezza prima di salire in quota
Il primo passo è valutare l’accessibilità: un tetto con pendenza superiore al trenta per cento richiede dispositivi anticaduta permanenti o, in alternativa, un ponteggio a norma. Anche per falde più dolci l’uso di imbraco e linea vita mobile resta la soluzione più prudente, soprattutto perché la pulizia comporta passaggi bagnati e scivolosi. È essenziale lavorare in due: chi opera in quota e chi, da terra, gestisce il tubo dell’idropulitrice o la pompa del detergente, controllando al contempo che eventuali detriti non colpiscano aree di passaggio. Soltanto dopo avere assicurato l’ancoraggio, si può procedere con la verifica delle tegole rotte: camminare su coppi scheggiati o sbriciolati è il modo più rapido per sfondare la falda.
Rimozione meccanica di vegetali, foglie e detriti grossolani
Una spazzola in setole di nylon, montata su manico telescopico, è sufficiente per scollare la parte più consistente di muschi, licheni e aghi di pino. Si parte sempre dal colmo e si scende verso la gronda, seguendo la stessa direzione del deflusso naturale dell’acqua piovana: in questo modo i residui spinti in basso non si incastrano sotto i listelli di sovrapposizione. Nelle gole laterali dove le tegole interagiscono con lattonerie di rame o lamiera zincata, conviene impiegare un raschietto in plastica rigida per staccare croste di fogliame mineralizzato senza rigare il metallo. Terminata la fase di spazzolatura, una rapida passata con soffiatore o con getto d’aria compressa allontana la polvere secca, rendendo più efficace l’azione idrica successiva.
Lavaggio a pressione: quando usarlo e a quale potenza
Il lavaggio con idropulitrice è un alleato prezioso ma va calibrato. Ugello a ventaglio, pressione compresa tra 90 e 110 bar e distanza di almeno venti, venticinque centimetri dal piano assicurano la rimozione delle micro-radici senza sbrecciare l’argilla invetriata. Una pressione superiore sfalda il film vetrificato, favorendo future penetrazioni d’acqua. Il getto, anche in questo caso, deve muoversi dall’alto verso il basso con movimenti leggermente sovrapposti: l’obiettivo è evitare che l’acqua risalga sotto i sormonti e goccioli all’interno del sottotetto. I canali di gronda vanno sgomberati in contemporanea per non rallentare il deflusso dei fanghi diluiti.
Trattamento chimico antivegetativo
Dopo il lavaggio, su tegole ancora umide ma non bagnate a velo, si applica un biocida specifico per coperture a base di sali quaternari d’ammonio o di perossido stabilizzato. Queste formulazioni penetrano nei micropori dell’argilla e inibiscono la rigenerazione delle spore. Il prodotto va nebulizzato con pompa a bassa pressione nelle ore meno calde, preferibilmente al mattino, per evitare evaporazioni rapide che ridurrebbero il tempo di contatto. In assenza di piogge previste, la soluzione lavora da sola: la pioggia successiva sciacquerà i residui inattivi. In zone sottobosco o particolarmente umide, è consigliabile un secondo passaggio dopo ventiquattro ore nei punti dove il verde era più ostinato, per neutralizzare le spore rimaste.
Protezione idrorepellente e test di scorrimento
Una volta pulita e asciutta, la superficie delle tegole può essere protetta con un impregnante silossanico che riduce l’assorbimento d’acqua fino al settanta per cento senza occludere la traspirazione. L’applicazione a rullo largo o con vaporizzatore airless conferisce una barriera invisibile che rallenta l’attacco di nuovi microrganismi e limita le fessurazioni da gelo-disgelo tipiche delle argille porose. Per verificare la corretta stesura basta versare un bicchiere d’acqua su una zona test: se la goccia scivola via formando perle, la protezione è uniforme. In caso contrario occorre ripassare la zona che ha assorbito troppo rapidamente.
Verifica delle lattonerie e dei punti critici
La pulizia è il momento ideale per ispezionare collari di sfiato, bandinelle e converse di camini, spesso occultate da colonie di muschio che nascondono micro-fessure saldate male o sigillanti siliconici invecchiati. Eliminato lo sporco, si individuano più facilmente eventuali punti di ossidazione o distacchi dalla muratura; intervenire con primer e mastice bituminoso a freddo evita che la prima pioggia abbondante infili lamine sollevate. Allo stesso modo conviene controllare l’integrità delle tegole di colmo fissate con malta bastarda o schiume poliuretaniche specifiche: il lavaggio potrebbe aver asportato granelli di sabbia che mascheravano crepe.
Programmazione della manutenzione futura
In clima mediterraneo, un ciclo completo di pulizia e trattamento protettivo dura mediamente tre, quattro anni prima che i colonizzatori ricomincino a insediarsi con densità critica. In zone di montagna o dove le chiome degli alberi lambiscono il tetto, la frequenza si accorcia a due anni. Annotare la data dell’intervento e scattare fotografie di dettaglio dei punti critici consente un confronto oggettivo alla manutenzione successiva. Un’ispezione visuale annuale con drone o con binocolo dal cortile basta a cogliere sul nascere un’infiltrazione o una macchia verde che cresce troppo in fretta.
Conclusioni
Le tegole marsigliesi, con i loro incastri millimetrici, funzionano meglio quando le superfici sono libere da incrostazioni che ne alterano il deflusso. Un intervento ciclico ben pianificato — sicuro per l’operatore, rispettoso della materia cotta e integrato da un protettivo idrorepellente — assicura un tetto più leggero, più sano e capace di espellere l’acqua con la stessa efficienza di quando uscì dal forno. In questo modo la manutenzione diventa un vero investimento: riduce i rischi di infiltrazione, prolunga la durata dei materiali sottostanti e mantiene intatto il valore estetico e patrimoniale dell’edificio.